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Da Nausicaa a Chthulucene

Di un’azzurra terra incontaminata Lago acido, giungla tossica, mar marcio, esalazione di miasmi, spore velenose, sono le parole che ruotano attorno al film di Hayao Miyazaki, Nausicaa.

Figura regale dell’antica mitologia greca, Nausicaa racchiude tutte le qualità umano-femminili dell’ospitalità, della cura, dell’amore che non vuole nulla in cambio. In un’atmosfera ricolma di rabbia, dove tutto è malato, rancido e segnato dagli effetti di una guerra termonucleare, Nausicaa si relaziona con attenzione e amore a tutto ciò che la circonda e cerca di salvare qualsiasi essere dalla paura distruttiva dei suoi simili.

Cerca nuove forme di convivenza ed evita ulteriori distruzioni. Scopre nelle viscere della terra che quella natura così compromessa ha anche il potere di rigenerarsi e che quei mostri tarlo (gli ohm) che sembrano minacciare gli esseri umani, in realtà non sono altro che gli ultimi difensori della madre terra. Sono gli esseri che filtrano le sostanze che la inquinano e che hanno il potere di purificarla.

Di fronte alla minaccia della loro distruzione, la giovane principessa del vento scopre che in realtà la loro rabbia è il frutto di una violenza che non possono più tollerare perché mette a rischio proprio quelle risorse rigeneranti e sotterranee di cui sono capaci. Nella loro rabbia c’è tutta la violenza subita dalla madre terra. Nausicaa lo sa perchè a differente degli altri e delle altre non ha mai reciso quel legame antico che la tiene stretta a lei. Sa che ciò che finora abbiamo fatto è sostanzialmente sbagliato tanto da ricoprire di ombre funeste il concetto stesso di vita.

Sa che bisogna sopravvivere e attende l’occasione giusta per agire. L’occasione sta nei tentacoli degli ohm, nella capacità reticolare di chi ha a cuore il legame. La sua azione è legata al patire. La sua conoscenza delle cose, della natura e del mondo è amore. Gli ohm sono come le popolazioni indigene che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, sono minacciate da un potere che ha un nome, un volto e un piano sistematico.

Ogni indio è un ohm da cui abbiamo tantissimo da imparare. Se non ci mettiamo in ascolto del loro sapere e lasceremo compiere questo genocidio già in atto, sarà un’altra occasione perduta e irreparabile.

Dentro il pensiero tentacolare di Chtulucene ci insegna l’arte di vivere in un mondo danneggiato. Ci insegna a pensare in una forma nuova la natura e a intendere il nostro pensiero come natura. Ci fa capire l’importanza di restare attaccati al problema delle relazioni multispecie che è la posta in gioco di questo secolo. Quello che Haraway propone è un pensiero tentacolare in grado di restare a contatto con il problema e in costante relazione con tutto quello che è altro da noi, perché “nell’assenza del pensiero, il mondo non conta”. Nostro compito è dunque quello di creare narrazioni nuove capaci di rinsaldare un nuovo patto tra noi e la natura.

Nello Chthulucene le creature multispecie stringono legami e collaborano per sopravvivere in un mondo danneggiato. Per poterlo fare è necessario capire come è cambiato il mondo e come dobbiamo cambiare noi stesse/i e il nostro modo di pensare. Inaugura una rivoluzione del pensiero: si tratta di non pensare più nulla a nostra misura ma di aprirci all’ignoto, a ciò che non conosciamo e che non conosceremo mai in tutta la sua complessità. Imparare ad avere rispetto di ciò che non capiamo, accoglierlo per ciò che è. È necessario risvegliare la nostra capacità di essere consapevoli e di sentirci responsabili. Imparare a con-patire a con-piangere, affrontare il lutto e il dolore che porta con sé, che non è prerogativa dei soli esseri umani. Ecco perché insieme al pensiero dobbiamo configurare anche nuovi linguaggi. Inventare corridoi linguistici originali perché la narrazione non può più essere solo nostra. Avere fiducia dell’esistenza di questa sostanza comune che ci tiene legati.

Disfarci dell’eccezionalismo umano che ha reso inabitabile il mondo, superflue le vite umane e non umane. Pensare la terra non più come superficie da calpestare, occupare e violare, ma come reticolo che si espande nelle profondità più abissali. Imparare nuovi codici dalle donne che ricamano nuovi codici e che non separano mai nulla, neanche nei saperi. Una semiotica naturale e materiale tiene insieme i fili dei tanti saperi. Siamo in fondo sostanze organiche eterogenee appartenenti alle profondità della terra. Siamo humus, compost di un mondo che è natura e cultura insieme. Non come due entità, ma come una sola cosa, come questo corpo/anima che abitiamo.

C’è qualcosa di “anticamente” nuovo da imparare, da trasmettere, da agire. Fa resistenza una pericolosa e continua distrazione che porta all’ottundimento dei sensi, al disorientamento alienante di chi non osa accostarsi a sé. Assenza di pensiero e di sentire sono i pericoli più grandi. Le nostre attività devono essere sensate e senzienti. Solo da questo agire possiamo ricomporre e rigenerare lo spazio e il tempo di questa preziosa solidarietà multispecie.

Questo ci spinge verso un processo di consapevolezza. Un essere consapevoli che non può che derivare dalla conoscenza di sé nel rapporto con gli altri e con le cose che ci circondano, ci abbracciano, ci avvolgono. Ricordiamoci che si componiamo e ci decomponiamo in un processo circolare e vitale. La nostra abilità di risposta sta nel nostro essere creature della terra generatrici di questi nuovi legami senza precedenti. Un legame di luce che illumina un nuovo modo dello stare

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